Il titolo
Il libro sulla propria vita scritto da Johan Cruyff – ma scritto soprattutto dall’amico Jaap de Groot – si intitola My Turn. E fino a qui tutto bene (oppure sticàzzi), direte voi.
My turn significa il mio turno. Come per dire: tocca a me, ora parlo io. O anche la mia svolta, in senso lato. E quindi vabbè, bel titolo (oppure sticàzzi), direte voi.
Eh, n’attimo, però. Perché guardacaso Johan Cruyff è noto al mondo anche e soprattutto per aver inventato un dribbling, chiamato infatti the Cruyff turn, come mostrato qui sotto.
E allora va da sé che il titolo My Turn – il mio turno, la mia svolta, il mio dribbling – è molto più azzeccato de La mia rivoluzione.
Ah, ecco dove volevi andare a parare (oppure sticàzzi), direte adesso voi.
Dico io, no: ma ogni tanto perché non lasciare il cazzo di titolo originale? Ho scritto alla Bompiani (se volte vedere cosa gli ho scritto cliccate qui) e se mi rispondono vediamo come argomentano.
La prefazione
Il libro comincia con la prefazione di Federico Buffa (giornalista sportivo noto per essere in grado di rendere interessante qualsiasi cosa utilizzando la famosa tecnica del pollo ripieno, ovvero: prendere un argomento a caso, scevrarlo delle interiora, riempirlo di odori e carni pregiate, ricucirlo, spennellarlo di enfasi e metterlo in forno) che di per sè non dice nulla di accattivante: piccolo campanello di allarme che io sottovaluto 1. perché sono un deficiente, 2. perché ormai ho comprato il libro e me lo devo leggere lo stesso e 3. perché le prefazioni belle o brutte che siano andrebbero saltate e basta ma io, come le mosche, non imparo dai miei errori.
Il contenuto
Johan e Jaap scelgono di raccontare le cose in modo lineare, abbastanza dettagliato, senza enfasi e fronzoli (GRA ZZIE RAGA ZZI!!!), dal Cruyff bambino al Cruyff ragazzo al Cruyff uomo al Cruyff padre al Cruyff eccetera.
In pratica però sembra di stare su un treno turistico che va sempre alla stessa velocità ad ascoltare una voce che esce dagli altoparlanti descrivendo quello che vedi: alla vostra destra potete ammirare Rinus Michels, l’allenatore che mi ha aiutato tantissimo in varie fasi della mia carriera; alla vostra destra c’è il dottor Borrell, colui che ha rovinato il ginocchio di mio figlio Jordi, mentre lì in fondo, dietro Joan Laporta, c’è Sandro Rosell, un altro presidente che portò la politica nel mondo del calcio; lì vicino invece avrete sicuramente riconosciuto Marco Van Basten, fuoriclasse che ho mandato in campo con una caviglia malconcia ad inizio carriera contribuendo così ad aggravare l’infortunio che gli costò l’addio prematuro al calcio giocato…
Il treno ogni tanto rallenta, ogni tanto si ferma ad Amsterdam, a Barcellona, a Los Angeles, a Washington, ma non si può scendere, non si può toccare niente. Finito il viaggio, non ti ricordi un cazzo. Tutto è raccontato bene ma senza quel trasporto che ti fa scendere la lacrimuccia, ed in più con quel fare un po’ sbrigativo di chi vuole raccontarti tante cose ma rischia di fare un elenco e basta.
In sostanza sembra più un libro per addetti ai lavori, scritto per chi ha vissuto quell’epoca e magari vuole vederci chiaro su alcuni aspetti mai chiariti. Un libro in cui il buon Cruyff prova a dimostrare di aver avuto visione di gioco in ogni ruolo che ha ricoperto e di aver contribuito a portare il calcio dov’è adesso.
Morto ormai quasi quattro anni fa, a Barcellona nel marzo 2016, ora il Pelè bianco riposa in pace.
Speriamo insegni agli angeli ad azzeccare i titoli dei libri.