Da piccolo odiavo i giocatori delle altre squadre: Van Basten per me era una pippa perché giocava col Milan. Pruzzo idem. Platini scarsissimo. Il più forte era Careca, perché era del Napoli, stop.
Da piccolo ero stupido, ovvio. Accecato dall’amore e dal tifo, ma comunque stupido.
Crescendo non sono migliorato molto: amavo il suono del rap di New York, della East Coast, e Tupac musicalmente non mi arrivava, non mi diceva niente, e mi stava pure un po’ sul cazzo tutta la faccenda delle sparatorie, del gangsta rap, della thug life. Dico la verità, mi è dispiciauto di più quando è morto Biggie.
Ok, l’ho detto.
Poi uno cresce, guarda le cose con distacco, ragiona meno di pancia e riesce ad inquadrare meglio il personaggio, riconoscendo il valore di un comunicatore. E forse il motivo per cui mi sono avvicinato a questo libro è proprio per scusarmi con Pac per averlo sempre snobbato, quando non denigrato.
Veniamo al libro.
Carino, bei tratti, narrazione in ordine cronologico, sulla falsariga di HipHopFamilyTree, libro che Solinas ha tradotto, tra l’altro. Sfondo nero, carta un po’ puzzolente, prefazione inutile del bravo (bravo produttore, non bravo prefattore…) Dj Shocca. Si legge in un attimo.
Finito il libro, tirato lo sciaquone, sento di non aver saldato il mio debito con il rapper americano, ma la colpa stavolta non è mia. Se sono rimasto distaccato durante la lettura è perché la narrazione è troppo didascalica e resta in superficie, non affonda mai in un episodio, non entra mai in un personaggio, non dà una chiave di lettura. Si limita a riportare gli eventi così come più o meno me li ricordavo anch’io. Molta attenzione (troppa, cazzo…) viene data ad Afeni Shakur, madre del rapper, attivista del Black Panther Party, per inquadrare il background geo-cultu-ideo-politico del rapper.
Ma non è tutto da buttare: le chicche ci sono. Sapevo ad esempio che 2Pac e Biggie fossero amici prima di cominciare ad odiarsi, ma apprendo solo ora che addirittura uno avesse quasi adottato l’altro. Molto esplicativa poi è la vignetta qui sotto che fa vedere chiaramente come Suge Knight, manager della Death Row, convinca 2Pac ad entrare nella sua scuderia, offrendo 1) protezione mentre il rapper è in carcere, e 2) vendetta quando sarà uscito. Si scrive Thug Life, si legge Malavita.
Vittima di sè stesso, del buco dove si è andato ad infilare, diventa paranoico, fa dissing a tutti, mena, sputa, spara a tutti: sente vicina la fine, che arriva puntuale. La parabola di ascesa e discesa è più o meno la solita.
Tutti sanno chi è stato Tupac, 2Pac, Makaveli, The Don Killuminati. Qualcuno crede di saperlo più degli altri. Ma nessuno sa chi l’ha ucciso. E dire che avrebbe potuto dircelo lui stesso, ma niente. Era lui contro il mondo. E ha vinto il mondo.
Se vedemo. Uessàid.