‘Nsomma stiamo a ‘na cena e dopo bottiglie piene, melanzane fritte, bottiglie mezzepiene, salamelle secche, risate grasse, bottiglie vuote, l’amico mio Bove se n’esce che c’è un libro che devo avere, ma che non l’hai letto, ma sei pazzo, finalmente ho capito delle cose sulla fisica, oooh… la fisica… nessuno la sa, la fisica, finalmente ho capito, ‘sto tipo è fantastico, spiega bene, tu vai al bagno, ti porti il libro, tanto è piccolissimo, esci, e sei diverso.
Mi compro quindi ‘sto libro pensando già che se mi elevo troppo culturalmente poi dovrò cambiare nome al blog, però ormai l’ho comprato, voglio migliorare, voglio uscire dal vortice dell’ignoranza, voglio conoscere la fisica, voglio almeno sapere come si scrive Ainstain.
E l’intuizione di Ainstain è giusta perché il buon Carlo Rovelli, che io per la confidenza acquisita in modo legittimo leggendo il suo libro chiamerò Carletto, chiarisce subito che c’è la capoccia del poro Albert, che io chiamerò Alba perché le sue teorie non sono ancora giunte al tramonto, in più o meno tutta la fisica da un certo momento in poi. Roba che addirittura potremmo fare come con Cristo e quindi datare gli anni in avanti-Alba e dopo-Alba tant’è l’importanza delle idee di quest’uomo che al pari della Campbell’s Tomato Soup ha prestato il volto al pop-artista Andy Warhol.
Carletto ci fa sette lezioni, e ce le fa brevi perché facendo le sue equazioni avrà stabilito che la riuscita del suo libro dipende dalla fatto di non accolarsi con il quantico dei quantici.
Carletto spacca, va via liscio palla al piede e ti spiega tutto con la facilità di chi prova amore per la sua materia. Ma Carletto non ha fatto i conti col fatto che la teoria della relatività ok, la struttura del cosmo ok, ma la fiscia quantistica per quanto tu puoi essere bravo a spiegarla io non ci capisco una cippalippa. Discorso che si applicherebbe a varie parti del libro, fino a quando, all’improvviso, Carletto dalle pagine mi guarda, mi riconosce, mi viene incontro, mi stringe la mano e mi dice: ti stavo aspettando.
Leggere per credere (pag.60):
[…] La probabilità in gioco nella scienza del calore è legata in qualche modo alla nosta ignoranza. Io posso non sapere qualcosa in maniera completa, ma assegnare una probabilità minore o maggiore a qualcosa. […]
E ancora (pag.61):
[…] A prima vista l’idea che la nostra ignoranza implichi qualcosa riguardo al comportamento del mondo sembra irragionevole: il cucchiaio freddo si scalda nel tè caldo, e il palloncino svolazza quando è lasciato libero, indipendentemente da quello che io so o non so. […]
Staccapì?
Carletto lo sa che anche il non sapere serve a qualcosa, perché il fatto di non sapere ci spinge a spingerci oltre i nostri limiti sulle ali della curiosità, con l’obiettivo della fuga dal nulla.
Ma Carletto sa anche che ignoranza deve scrivermelo in corsivo o in grassetto altrimenti io, arroccato sul pulpito della mia pochezza, riuscirei a non notare la parola-fulcro di questo blog…
Carletto, beato lui, sa ‘na cifra de cose.
Ignoranza non ti temo.
Bensì ti cerco.
Allorché ti accolgo.
Poscia ti coltivo.
E laddove una parte di me ti combatte, l’altra inesorabilmente ti ama.
Bel libro, compràtelo.
Bravo Bove, grazie.