(Canticchiare sul pezzo di Duck Sauce – Barbra Streisand)
Woo woo woo woo, woo woo woo, woo woo woo, woo
Woo woo woo woo, woo woo woo, woo woo woo, woo
Woo woo woo woo, woo woo woo, woo woo woo, woo
Woo woo woo woo, woo woo woo, woo woo: Barbara Stok!
(Canticchiare altre sei o sette volte, tanto non riuscirete a smettere subito).
Ok, ci siamo. Passiamo al libro.
Caratteristiche esteriori.
Il libro è edito da Bao Publishing che di solito significa tanta qualità ma non tanta convenienza ed invece in questo caso alla non tanta convenienza dobbiamo aggiungere che il libro, stampato in Cina, puzza un po’. Non so esattamente di cosa, ma di fatto ogni volta che lo riaprivo pensavo che è ‘sta puzza?.. e la puzza era il libro.
Caratteristiche interiori.
Una volta all’interno verrete però rapiti dal lavoro di Barbara Stok, brava 1. a scegliere di raccontare il periodo più prolifico della vita di Van Gogh (che io chiamerò Vincenzo in virtù del legame che ho stretto con lui recandomi nel suo museo nella ridente ma sfocata (sfocatissima) Amsterdam (legame rinsaldato di recente a Roma con la mostra Van Gogh Alive)), ovvero quello passato nella famosa casa gialla di Arles, nel sud della Francia; 2. a livello tecnico scegliendo gradazioni di tinte più o meno accese assecondando lo stato d’animo di Vincenzo: felice, cupo, o in preda ai mostri.
La narrazione non può ovviamente prescindere dal rapporto col fratello Theo, suo estimatore e sponsor; dal suo ricovero a Saint Paul; dalle sue crisi più o meno profonde; dalla delusione dopo l’incontro con il suo punto di riferimento Paul Gauguin che non sfocia in una prolifica collaborazione, o nella creazione di un’associazione di pittori con base nella casa gialla di Arles, come avrebbe voluto Vincenzo, perché Gauguin vuole trasferirsi ai Caraibi: infatti a Paoletto piace la musica latino-americana, il mojito, despacito, e non gli va di stare sempre a parlare co’ ‘sto fissato olandese che si accolla col discorso dell’associazione di pittori – ma che volete da me? Io dipingo da paura, magno, bevo e scopo ‘na cifra.
Questa graphic novel riesce ad essere un’opera nell’opera, un disegno dei disegni, un cantico dei cantici, un baldo degli ubaldi; riesce ad emozionare, penetra nelle sensazioni del pittore con naturalezza, riesce a farci provare quello che provava Vinz. Riesce a far capire (perfino a me che sono ignorante come uno sciacquone rotto (e infatti invece di dire “persino” che è più cool, dico “perfino” che è più root)) quanto delicato era il suo equilibrio, quanto preziosa e salvifica fosse per lui la sua pittura, sua consolazione, contatto col mondo.
Oltre alla pittura aveva solo il fratello, Theo, senza il quale 1. Vincenzo avrebbe dipinto stocazzo perché non aveva né un fiorino olandese né un franco francese e i quadri impressionisti non impressionavano ancora nessuno; 2. Vinz sarebbe impazzito molto tempo prima, perché Theo da solo rappresentava la quasi totalità della sua sfera affettiva; 3. La ricostruzione della vita e delle opere del genio olandese, avvenuta grazie al famoso scambio di lettere tra lui ed il fratello, non sarebbe stata possibile.
Tanto si volevano bene ed erano legati che il dolore per la morte di uno ha nel giro di poco tempo (unita a qualche goccia di sifilide, uno spruzzo di crollonervoso, 1/3 di apatia) ucciso anche l’altro, come si vede qui a fianco. Una bella storia triste di due fratelli che hanno lasciato la loro cazzo di tag sul sole.
Quindi.
Il libro puzza ma è molto bello.
Ma ad occhio e croce è bello anche Lettere a Theo, che è già sulla lista della spesa.
Così come è bello anche questo pezzo di Caparezza.
Ma poi, come tutti sanno, il più bello è sempre l’amore litigarello (out of topic).
Ciao.
Un saluto sorridendo e uno soppiangendo.