Buono Sano Vegano – Michela De Petris

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Non è che uno nel 44esimo secolo può ancora pensare che essere vegano significhi mangiare insalata e verdure lesse, essere bianco cadaverico, debole, brutto, malato, psicotico e insopportabile. Mi dirai anzi che bisogna avere una bella tempra perché deve essere una gran rottura di cazzo dover selezionare quello che ti cacci in bocca quando fai una vita che ti porta parecchio in giro e spesso hai una voragine nello stomaco che mangeresti anche il santino che hai in macchina con la scritta vai piano.

Ok dài, la premessa inutile e scollegata l’ho fatta, ora veniamo al libro.

Parte 1 (Ci rimango subito malissimo)
Prima di cominciare a leggere il libro, lo sfoglio.
Mmmmm, no: devo aver visto male.
Lo risfoglio. Niente.
Rifaccio lo stesso proprio per sicurezza, ma niente.
Non ci sono le foto. Non ci sono le foto? Non ci sono le foto!
Un libro di ricette e non ci sono le foto!
Senza foto….. Nemmeno una. Macomesifà?
No, non ce la faccio, mi sta salendo il male… Vado a leggermi un’altra cosa; poi semmai ritorno e ci riprovo. Però cominciamo proprio male, mannaggia la melanzana!

Parte 2 (Voglio darti una chance)
20160602_115758Ok, ho speso i soldi per comprarti ed ora ti leggo cercando di non pensare al fatto che sei privo di foto. In fondo sei stato scritto da una dottoressa nutrizionista vegana, cioè da una figura che da sola risponde alla domanda si può essere vegani senza morire lentamente? quindi devi pur valere qualcosa. Ed in realtà il libro qualcosa vale davvero perché offre parecchie informazioni utili, come questo fantastico grafico in bianco e nero titolato Il pranzo è servito (ah no, Il piatto è completo). E poi in fondo l’approccio è semplice, è un buon manuale pratico denso di consigli e suggerimenti su come orientarsi nella vita di tutti i cosiddetti giorni. Qualche citazione qua e là, un pò di studi di settore, un pizzico di topinambur. Però non ci sono le foto (e se parli di topinambur una foto me la devi mettere per farmi vedere che forma ha ‘sta patata zenzerosa, se no io penso al deodorante per ambienti…). E i grafici sono in bianco e nero. Quindi bene ma non benissimo.

Parte 3 (Ho fatto male a darti una chance (ed ho fatto male ad un certo punto ad aver pensato di aver fatto bene))
Verso la fine del libricino ci sono vari momenti in cui chi scrive dà per scontato che l’intelligenza di chi legge sia andata a comprare le sigarette alla menta in una tabaccheria dall’altra parte della città ed abbia incontrato molto traffico, e poi abbia anche incontrato un amico sulla via di ritorno e si sia fermata a cena e poi abbia dormito in macchina. Dico questo perché alcune sezioni sono un po’ tirate per i capelli, tipo come comportarsi in caso di invito a cena a casa di amici che nonvelodiconemmeno perché chevelodicoafare Michela non si è regolata ed ha tirato fuori cose tipo Beh se vi invitano a cena e ci sono solo cibi per onnivori potete sempre non andare… Maddai, veramente? Dici che posso?… Geniale!

Parte 4 (Le 70 ricette)
Io dico, no… Già parti con lo sfavore del pronostico perché nei tuoi piatti mancano tutti quegli ingredienti tanto cari al mondo occidentale (però nessuno parte battutto in partenza, siamo 11 contro 11, la palla è rotonda, rigore è quando arbritro fischia), in più al secondo minuto ti fai espellere il portiere (metafora associabile alla mancanza di foto – l’avevo già detto che mancano le foto?), quindi sai che serve un’impresa epica, una cosa tipo Tony D’Amato che nello spogliatoio faccia discorsi motivazionali ai 300 di Leonida, e tu che fai? Toppi le ricette! Le scrivi in modo approssimativo, impreciso, confusionario. Carino il fatto che sono tutte ricette di amici, eh, per carità. Carino però se gli amici te le scrivono su un tovagliolo mentre siete a cena e tu te le conservi. Non devi sentirti obbligata a condividerle col mondo. Per dire, un sito preso a caso tipo questo dà una pista a tutte e 70 le ricette (che comunque costituiscono la metà del volume del libro).

Parte 5 (Conclusioni)
Soldi buttati.
Pazienza (già poca) persa.
Livelli di ignoranza e turpiloquio tornati a livelli DEFCON 3.
Buono Sano Fagiano (io che ti ho comprato).

 

Ciao, buon appetito.

 

P.S.
Nel libro non ci sono foto.

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