Libro del 1939, tanto per cominciare. Definito il secondo miglior libro giallo di tutti i tempi. Che poi è una rosicata, no? Cioè, secondo… che sfiga! Che poi, giallo di qua, giallo di là… uno lo compra e la copertina è nera. E infatti non è un giallo, è un noir…
È il libro (che tra 17 anni compie il centenario – ve lo dico adesso così vi organizzate per gli auguri) che dà la vita ad uno degli investigatori più affascinanti di sempre, for ever and ever, diverso da tutti quelli prima di lui, inarrivabile da tutti quelli dopo*. Tal Philip Marlowe, scelto come partner anche da Osvaldo Soriano che con lui al proprio fianco se la sente così calla da infilarsi nel proprio romanzo per andare in giro a far danni nel suo Triste, Solitario y Final.
Il libro è come la stracciatella: ti deve piacere. Se non la capisci non le troverai mai un senso, se la capisci tutti gli altri gusti ti sembreranno solo colori butati nelle vaschette. Questo libro è così: stracciatelloso. E butto là pure un estratto, così risulterà chiaro quello di cui parlo:
Ora a voi (e a me) la cosa farà riderissimo, perché, dai, come si fa? Sembra troppo di stare ad uno sketch di Ale e Franz. Però pensate anche che Raimondo Candelabro questa cosa l’ha proprio inventata, seguendo la strada tracciata da Dashiel Hammett e perfezionado il genere hard-boiled (che non è il riso, quello è par-boiled…) facendolo suo in tutto e per tutto (con tutto, da tutto, di tutto, e fra tutto).
Insomma un libro che io non merito. Un detective a cui non sarei mai piaciuto. Un noir che, come tutti sanno, sta bene su tutto, tranne che su questo blog.
Addio, Gin. Addio, Fizz.
* Ovviamente la cosa è soggettiva: a me per esempio piace di più Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán.